Giacomo Leopardi e Piero Gobetti, alfieri dell’italica protesta

Di Luigi Mazzella

Giacomo Leopardi lo aveva intuito; Piero Gobetti aveva dovuto costatarlo.

Il Risorgimento italiano, esaltato nella storiografia ufficiale dei seguaci acritici di casa Savoia e dei loro più tardi epigoni autoritari sfociati nel Fascismo, era stato un fallimento: lo si poteva considerare il compimento dell’opera di capi demiurgici; non si era inserito in una vera riforma delle coscienze degli Italiani; non aveva prodotto vere élite intellettuali.

Gli uomini di pensiero degni di tale qualifica, nell’Italia post-risorgimentale, si contavano sulla punta delle dita di una sola mano.

Neppure i proletari rappresentavano una forza d’urto con energie nuove capaci di suscitare una riforma profonda della nostra società.

L’Italia restava un Paese di bottegai, di avvocati (le cosiddette “pagliette” napoletane)”fini dicitori” che si compiacevano di arrivare in tribunale con un codazzo di giovani di studio e di clienti, di capo-mastri con l’ambizione di diventare “palazzinari” in landaulet, magari con l’aiuto di burocrati corrotti, di aspiranti al posto fisso nello Stato, pronti a servire, con finta devozione, i politici di turno, provenienti dalle professioni liberali.

Gobetti era consapevole che il fascismo era una sorta di Araba Fenice (il mitologico Uccello di Fuoco o Uccello Sacro) della realtà italiana, sempre risorgente dalle sue ceneri, dopo la morte (Post Fata resurgo, era il suo motto).

Se gli Storici non hanno mai creduto all’esistenza della Fenice, ritenendola un parto della fantasia dei seguaci del Sole, hanno dovuto ammettere, invece, che il Fascismo è veramente una mala pianta, un prodotto velenoso del Bel Paese, che spunta periodicamente sul territorio dello Stivale, con l’aiuto di personaggi di quello stesso milieu che Gobetti denunciava come refrattario a ogni miglioramento.

Lo scrittore e uomo politico torinese sapeva che, senza una vera e propria “rivoluzione”, la mentalità dominante nel Bel Paese sarebbe rimasta quella ignava e conformistica dei due millenni succeduti alla Roma repubblicana, in un tripudio di assolutismi autoritari religiosi e civili.

Il merito di Gobetti è stato quello di capire che i “parrucconi”, docenti universitari dell’Accademia e i professionisti affermati (gli uni e gli altri spesso con l’onor del mento e in doppio-petto gessato), non si sarebbero mai uniti (in un Paese che, d’altronde, di vere rivolte, nella sua plurisecolare storia, non era mai stato capace) con i proletari con forconi o badili o con i giovani studenti  armati di pietra (i “Balilla” avevano invece, esauriti i sassi contro gli Austriaci) per dare uno scossone al “popol morto” di carducciana memoria che si era già sforzato troppo, mettendosi dietro Mazzini. Avrebbero accettato il piattume di un pensiero politico che non riusciva né a essere veramente libero né a concepire, contro ogni idea paternalistica, le basi per un profondo rinnovamento della società italiana.

C’è da chiedersi: che cosa penserebbe Piero Gobetti degli Italiani d’oggi?

Che possono ancora muoversi nella direzione da lui indicata o sono destinati a rinunciare per sempre a essere governati da uomini politici capaci, competenti e non corrotti?

Di meglio, certamente, c’è, a fronte dei suoi tempi,  che una protesta contro il modo di vedere conformistico e tradizionale degli Italiani, si sta finalmente materializzando, in modo visibile e consistente. E ciò, anche grazie al Web che ha sottratto l’espressione delle opinioni dei “quisque de populo” (dileggiate dall’upper class) alla tirannia dei mass-media ordinari e del giornalismo “a stipendio fisso”, gli uni e l’altro solidamente nelle mani di gente dalla mentalità interessatamente retriva e dall’opportunismo politico più spregiudicato.

Di poco confortante, per converso, c’è che le élite intellettuali e professionali sono tuttora schierate su posizioni di “conservazione” della mentalità esistente (e dominante, soprattutto nell’agiata borghesia che frequenta i salotti-bene), volta a impedire, a ostacolare ogni ipotesi di “cambiamento”.

L’assenza di un movimento organizzato e ben diretto da uomini di pensiero che fiancheggi l’opera d’urto della protesta delle moltitudini insoddisfatte (e giustamente arrabbiate) rappresenta, ovviamente, un grave danno per le ipotesi di rinnovamento della nostra degradata e mal ridotta collettività.

Come all’epoca di Giacomo Leopardi – che fu lasciato solo nel suo lamento sul costume degli Italiani – e come ai tempi di Piero Gobetti – il cui ricordo non mi sembra che occupi molto spazio nella memoria degli stessi liberali Italiani, piuttosto inclini a sentirsi orfani piangenti di Malagodi e dei suoi ardori confindustriali, – chi invoca un’adesione alla protesta che finalmente è comparsa nel buio orizzonte della “serva Italia di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincia ma bordello” è terribilmente isolato.

La mancanza di uomini di penna e di fluente eloquenza tra i protestatari agevola lo scherno dei signori in abiti scuri e griffati.

E’ vero che a un desiderato “ risveglio di primavera” manca ancora del tempo e che esso è più che sufficiente perché sorga una forza politica amante della vera libertà corroborata dal diritto di scelta popolare (e non partitica) dei rappresentanti in Parlamento; non di quella, cioè, fasulla e limitata, benignamente ancora concessa dagli inventori alacri di Porcellum, Italicum e Rosatellum.

E’ vero, altresì, che lo scherno a mezzo stampa e televisione dei leader politici non amati dai partiti del malgoverno pluridecennale morde sempre meno.

La Storia dimostra che v’è un momento in cui il disprezzo per chi protesta da parte di chi ritiene di continuare a vivere in panciolle, nonostante il degrado della vita che gli ruota intorno, non paga più.

Non aiutò, infatti, Maria Antonietta di Francia la frase detta con “noncuranza” che se la plebe chiedeva pane poteva accontentarsi di mangiare brioches; né, probabilmente, aiuterà i reduci di un trentennio di “giri a vuoto” della macchina statale, la massa delle fake-news che i media asserviti riverseranno sugli Italiani.


* Pubblicato su Rivoluzione Liberale. Il Presidente Mazzella collabora stabilmente con Rivoluzione Liberale da autorevole giurista indipendente.

Link originale: https://www.rivoluzione-liberale.it/34695/opinione/giacomo-leopardi-e-piero-gobetti-alfieri-dellitalica-protesta.html

Luigi Mazzella
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