Intervista a Luigi Mazzella sul Liberalismo

D (*). Presidente Mazzella, lei si dichiara, ripetutamente, amante sconfinato della libertà; scrive sul giornale on line di un Partito, che si chiama “liberale” e dichiara di essere sempre, prioritariamente, a difesa del maggiore dei diritti individuali umani; eppure sembra che la necessità di precisare, la sua ”indipendenza”  e la “distanza” delle sue posizioni dalla linea del Partito sia sempre puntigliosamente sottolineata, in calce a ogni suo articolo. Per volontà sua o del Direttore del giornale che è anche Presidente del partito?

 R. Di entrambi e la risposta alla sua domanda è molto agevole anche motivarla: non posso dichiararmi “liberale”, perché vivo in Italia e, a mio giudizio, la libertà, quella piena e senza condizionamenti costrittivi, non ha possibilità né di nascere né di vivere né tanto meno di svilupparsi in un terreno infecondo, com’è lo Stivale, concimato, da due millenni, solo con assolutismi di varia natura. Ho detto: Italia, ma avrei potuto dire anche Europa continentale. Non è un caso che gli Europei della terraferma sulla casacca bianca della loro religiosità (cattolica o protestante luterana) indossino alternativamente qualcosa di rosso o di nero. Sulla stampa di questi giorni, si parla con insistenza di una Polonia Nera. E tutti sappiamo, quanto sia stata Rossa!

D. Per lei, quindi – e lo ha scritto più volte – la patria del liberalismo, inteso come culla della vera e totale libertà di pensiero, non può che essere, oggi, la Gran Bretagna, terra dove predomina, tra le filosofie, l’empirismo e, tra le fedi, l’anglicanesimo-calvinista. Ora io capisco l’empirismo e l’esclusione d’ideologie assolutistiche e autoritarie (anche la Monarchia inglese non è mai stata assoluta, tranne che per il breve periodo dei Tudor), ma l’anglicanesimo-calvinista non è sempre una religione protestante e quindi cristiana?

 R.  Sì, ma come il buddhismo è una religione permissiva e tollerante che non ripete ossessivamente il messaggio pauperistico di odio contro i ricchi, contenuto nella parabola del cammello e della cruna dell’ago. Certo: è pur sempre un credo religioso e come tale limitativo della libertà di pensiero. E ciò spiega perché anche la Gran Bretagna è un Paese non privo di contraddizioni…

D. Insomma….possiamo soltanto dire: “beati monoculi in terra caecorum!”

R. Sì. Anche nell’evo antico, le polis dell’Ellade e la Repubblica di Roma erano state le terre predilette dai filosofici (pre-socratici orectius: pre-platonici) e dagli uomini di scienza e di pensiero della Magna Grecia perché la religione pagana, godereccia e non sessuofobica (se non in limiti accettabili anche per un libertino) non comprimeva totalmente la libertà degli individui.

D. In altre parole, lei come figlio della Campania felix, avrebbe potuto essere e dichiararsi “liberale”, all’epoca greco-romana, nella terra dei suoi lontani progenitori, ma non può esserlo né andarne orgoglioso nell’Italia di oggi. E’ così?

R. Esatto. Il mio Paese, ancor più di altri della parte continentale dell’Europa, ha accettato, dal tempo delle invasioni barbariche, prima mediorientali e poi nordiche, di divenire terra di assolutismi e d’intransigenze dogmatiche.

D. In definitiva, nel suo intimo più profondo (e non solo in esso), Lei disconosce sia le cosiddette radici giudaico-cristiane, che molti suoi conterranei Euro-continentali intendevano imporre come “preambolo” alla Costituzione Europea, sia quelle (che, per la verità, nessuno ha, mai, pensato di attribuire agli Italiani) di figli spuri di vichinghi, ostrogoti, celtici e così via. E’ così?

R. E’ proprio così! Pur consapevole degli epiteti, non commendevoli, attribuiti, da “noti intellettuali” del Nord, agli uomini del Sud-Italia, continuo a ritenermi e a dichiararmi, con orgoglio, un intellettuale (senza virgolette) della Magna Graecia.

D. Ricordo che Aleardo Aleardi, in un pezzo di prosa da noi scolari imparato a memoria nei nostri anni verdi, enumerava le ragioni in base alle quali si sentiva italiano. Lei intende fare  lo stesso, ricordando i motivi per cui non può essere e dichiararsi “liberale” in Italia.

R. Il Partito liberale dell’Italia d’oggi ha origini e collegamenti di pensiero ben diversi dall’empirismo, greco-romano o britannico, e dal permessivismo, pagano o anglo-calvinista. Esso annovera tra i suoi Maestri più venerati, l’abruzzese Benedetto Croce e il siciliano Giovanni Gentile, meridionali entrambi, come me, ma inflessibilmente e assiomaticamente neo-idealisti tedeschi post-hegeliani, che parlavano  dell’Io Universale come “padre” di tutte le cose e necessario nonché obbligato punto di riferimento di tutti i giudizi, dalla Politica all’Estetica. E, per giunta, il filosofo di Pescasseroli aveva dichiarato di “non potere non essere cristiano”, a causa della rivoluzione pauperistica, compiuta da quel credo ancora prima di Marx, Lenin & compagni, secondo un’opinione che, peraltro, è stata espressa anche dall’attuale pontefice.

D. Mi scusi…non vedo il danno di una tale paternità! Si tratta di filosofi colti ed eccellenti, che ci sono invidiati dalla cultura mondiale….

R. D’accordo, ma lo sono anche Platone e Aristotele; eppure sostengo che  un protervo autoritarismo si annidi nella loro filosofia. E l’intolleranza che consegue al giuramento in verba magistri è una brutta bestia per le persone libere. Le faccio io una domanda provocatoria: sa da chi sono particolarmente prediletti i due Padri del Liberalismo Italiano?

D. Lo dica lei!

R. Gentile, dai fascisti del cui Governo fu Ministro, peraltro molto apprezzato anche fuori dalla cerchia dei “camerati”; Croce, dai comunisti. Specialmente dopo il crollo dell’Unione Sovietica non v’era un comunista (e non v’è un post-comunista) con un certo grado di cultura che non si dichiarasse (e non si dichiari) orgogliosamente “crociano”.

 

D. Come giudica la politica del Partito Liberale Italiano nel secondo dopoguerra mondiale?

R. Nel dopoguerra, quel partito, non ha saputo sottrarsi alla suggestione del Medioevo italiano (tutt’altro che moderna, quindi) della “corporazione” e ha rappresentato la voce in politica della sola Confindustria, isterilendosi in diatribe con i Sindacati (socialcomunisti, democristiani, fascisti) che costituivano, pur con notevoli differenze tra di loro,  un poderoso  pendantdell’assolutismo italico.

D. E oggi?

R. Nell’Occidente, di recente diviso tra gli Anglo-americani (costretti a rinchiudersi nel loro guscio dopo avere attuato, da molti decenni, la fase del cambiamento della società capitalistica da manifatturiera a post-industriale e dopo la colpevole pigrizia degli Euro-continentali a fare altrettanto), il partito liberale italiano ha fatto, a mio giudizio, l’ennesima scelta sbagliata. Si è schierato, ancora una volta, a favore delle “corporazioni”, rappresentate dalla Confindustria, e ha consentito, con una sorta di silenzio-assenso sull’immigrazione, a imprenditori, incapaci di stare al passo con i tempi (e passare, quindi alla creazione di beni immateriali, prodotti d’eccellenza e servizi efficienti) di avvalersi di rappresentanti del nuovo schiavismo del terzo millennio: quello degli immigrati centro-africani. E ciò, ovviamente, pagando con salari di fame (all’incirca: un terzo del dovuto) il lavoro di poveri immigrati e ripetendo le giaculatorie, falsamente umanitarie, del “buonismo” cattolico e comunista. Con quest’ultima mossa, la scelta è stata doppiamente illiberale: contraria alla libertà degli immigrati, da salvaguardare come quella di ogni altro essere umano, e favorevole alla “protezione”, con misure aberranti, d’imprenditori incapaci di utilizzare la loro libertà d’iniziativa economica, per porsi sulla strada del capitalismo più avanzato, quello della società post-industriale.

D. Oggi, però, le cose sono cambiate. Molte scelte del PLI, come risulta dal sito web del Partito e da Rivoluzione Liberale, dimostrano in modo incontrovertibile, che “l’aria” non è più la stessa.

R. Ha ragione. In effetti è stato importante e significativo l’impegno del PLI per il NO alla riforma costituzionale Renzi-Boschi sostenuta, invece, dalla Confindustria.

D. Come giudica l’atteggiamento dei Liberali Italiani verso i problemi della Pubblica Amministrazione?

R. Pur non ignari del fatto che la Pubblica Amministrazione sia nata, in Europa continentale, come braccio operativo della tirannia prima delle Monarchie assolute, poi di Napoleone, Hitler, Mussolini, Franco, Salazar e via dicendo i Liberali italiani, nelle situazioni date, potevano fare ben poco. Avrebbero potuto, però, spendere qualche parola in più, almeno, per stigmatizzare negativamente e duramente, il collegamento allo Stato-Autorità più grave di tutti gli altri: quello dei particolari civil servant che amministrano giustizia, i giudici e, per certi aspetti, i pubblici ministeri. I primi affermano di farlo “In nome del popolo Italiano”: in realtà l’investitura gliela dà soltanto lo Stato-Autorità gestito dai politici.

D. Beh! Impostato così il problema, da veri liberali avrebbero dovuto chiedere per tutti i dipendenti pubblici, il riferimento costitutivo allo Stato-Comunità; non dei soli magistrati. Non è così?

R. Sì! Come gli Anglosassoni. E ciò, perché è necessario sottrarre i civil servant  all’ingerenza, alla sopraffazione e alla corruttela degli uomini politici. In conseguenza di tale pilatesca rinuncia, la libertà dei cittadini italiani è, oggi, nelle mani d’impiegati statali che hanno il solo titolo di avere vinto un pubblico concorso, basato su un mero nozionismo tecnico-giuridico.

D. Ritiene che vi siano oggi le condizioni per continuare a esaltare alcune “conquiste” dei Liberali Euro-continentali come lo Stato di Diritto e la  Certezza del Diritto?

R. Francamente, no! Occorre chiedersi se il diritto certo provenga da uno Stato democratico, totalitario o “mezzo e mezzo” come il nostro.

D. Mi permetta di cambiare registro e chiederle: se lei scrive, sia pure da “indipendente”, su un giornale del Partito liberale italiano, qualche ragione di un tale collegamento deve pure esserci; o mi sbaglio?  

R. Ve n’è più di uno! In primo luogo, in una situazione, qual’è quella italiana, per dare spazio alla scrittura di un individuo che non porta ossequio a nessuna delle Autorità assolutistiche esistenti nel Paese (Chiesa Cattolica, Partiti ideologici: comunisti o fascisti, Consorterie laiche o religiose) ci vuole del coraggio e la prova di un tale comportamento non conformistico  m’è venuta solo da “Rivoluzione liberale”, il quotidiano on line del Partito Liberale. In secondo luogo, sono stato nominato Presidente di un Comitato del NO (per l’esattezza: NO AL PEGGIO) sostenuto dal PLI nel noto referendum costituzionale voluto da Renzi e ciò è stato per me molto significativo. In terzo luogo, il PLI (pur con qualche contraddizione nel comportamento successivo all’approvazione della legge) ha definito, sostanzialmente, illiberale il cosiddetto “Rosatellum” imputando al provvedimento di  privare i cittadini italiani della reale possibilità di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento. E ciò senza dire che già in precedenza, i liberali italiani erano intervenuti in modo critico, deciso e preciso, sui sistemi elettorali, escogitati dalle forze politiche più autoritarie comparse nel Paese negli ultimi decenni: il centro-destra di Berlusconi e il centro-sinistra di Renzi. A nessuno dei due raggruppamenti era estraneo il seme di una doppia ideologia assolutistica.


*Intervista di Antonio Pileggi

Luigi Mazzella
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