di Rosita Tordi Castria

Se è vero che in un esordio letterario ci sono già, nascosti ai più, i semi delle opere future, nella pur esile rivista quindicinale “Energie Nove”, che il diciassettenne Piero Gobetti avvia nel 1918 a Torino, sono già presenti i principi intorno ai quali si incardinerà il suo ‘liberalismo’: intransigenza morale, immanentismo, antidogmatismo.

In apertura del primo fascicolo, datato I° novembre 1918, una breve e assai cauta nota redazionale recita: “Dare un programma concreto è ingenuità sciocca perché esso non può apparire che dall’intero svolgimento del periodico”.

Segue tuttavia una orgogliosa dichiarazione di intenti: “Noi vorremmo suscitare movimenti nuovi d’idee, recare alla società, alla patria, le aspirazioni e il pensiero nostro di giovani (…).

A chi ci ricordi difficoltà e momento inopportuno, rispondiamo che non c’è mai momento inopportuno per lavorare seriamente.

Ostacoli ne abbiamo visto e numerosi. Ma gli ostacoli si superano. E a superarli ci è sprone la giovane età e l’ardore e la coscienza di non far opera vana. Senza il dolce fascino delle difficoltà del compito nostro non avremmo forse neppur tentato ciò che tentiamo”.

Scorrendo i sommari dei dieci fascicoli della prima serie (novembre 1918 – marzo 1919) e dei dodici fascicoli della seconda (maggio 1919 – febbraio 1920), è agevole constatare il processo di maturazione di una linea di pensiero sostanziato dalla convinzione che cultura è politica.

Immediata l’attenzione da parte di grandi intellettuali quali Giuseppe Prezzolini e Benedetto Croce, generosi nel giudizio di una iniziativa editoriale incentrata su tematiche che riguardano e l’attualità politica – dalla questione meridionale a quella della scuola di ogni ordine e grado, al problema politico ebraico,  all’incontro/scontro tra giolittiani e antigiolittiani, tra marxisti e socialisti – e l’attualità artistico/letteraria – dalla critica d’arte alla critica letteraria e teatrale – con uno sguardo allargato alla realtà internazionale.

Referente imprescindibile Gaetano Salvemini, l’antifascista della prima ora, al cui invito rivolto ai giovani, nell’ “Unità” dell’11 gennaio 1919, perché abbiano la forza morale di lavorare tenacemente per una nuova cultura politica, Gobetti risponde, in apertura del fascicolo del 15 gennaio di “Energie Nove”, con toni oltremodo rassicuranti: “Siamo grati a Gaetano Salvemini di aver concretato colla consueta acutezza il problema dei problemi. Noi giovani siamo con lui. (…).

Ciarlatani della politica ne abbiamo molti, troppi. Per noi giovani sarebbe delittuoso l’andare ad aumentare questa turba amorfa. (…).

I nostri giornali quotidiani rappresentano un’insidia alla nostra sincerità perché per la maggior parte sono portatori di interessi estranei e pericolosi. Non c’è forse in Italia un grande quotidiano indipendente.

La campagna contro Bissolati – creata artificialmente coi soliti mezzi semi-terroristici: censura, notizie ufficiali ed ufficiose, ecc. – ci ha mostrato quanta vigliaccheria covi … negli esponenti dell’opinione pubblica. E il fatto di Bissolati stesso ci avverte che non possiamo fermarci a credere in nessun partito, cioè non possiamo cristallizzarci in una accettazione e in una attesa comoda e fredda.

Gli uomini migliori – Salvemini, Bissolati – hanno fatto parte per se stessi; non sono un partito, ma hanno le coscienze. (…).

Le nostre conclusioni provvisorie, i nostri dubbi li verremo esponendo qui, senza falsi ritegni e vili timori, al lume di una franca discussione. (…). E stretti in un blocco di sincerità saremo una forza”.

É su questa linea che Piero riesce a catalizzare l’attenzione di molti giovani destinati a occupare una posizione dominante nel dibattito culturale italiano del Novecento, da Antonio Gramsci al critico letterario e dantista di rilievo Natalino Sapegno il quale, trasferitosi dalla nativa Aosta a Torino per frequentare l’Università conseguendo nel 1922 la laurea in Lettere con una tesi su Jacopone da Todi, è tra i primi a entrare nel sodalizio gobettiano e tra i più fedeli, collaborando sia a “Energie Nove” che a “Rivoluzione Liberale” e al “Baretti”.

Nel Carteggio 1918 – 1922 e nel Carteggio 1923, pubblicati rispettivamente nel 2003 e nel 2014, sono registrati numerosi scambi epistolari che documentano un rapporto intellettuale e amicale molto intenso tra i due coetanei.

Recita una lettera del 28 luglio 1920 di Gobetti da una località di vacanza non lontana da Torino: “Caro Sapegno, scusami se per una lieve indisposizione, ormai trascorsa con la sua noia, non ti ho subito scritta la mia risposta. (…).

Io qui lavoro attivamente quasi 10-12 ore al giorno. Preparo l’edizione di Bertini e mi rileggo con grande commozione le Operette morali.

Scrivimi ancora con intimità”.

E Sapegno, in una lettera di poco successiva da Aosta, datata 30 settembre, dopo aver riferito all’amico di vicende private che hanno sconvolto il suo quotidiano, accenna alla rivolta operaia nelle fabbriche torinesi: “Per ciò che riguarda il movimento torinese, siamo d’accordo. Ho guardato alla resistenza guidata a Torino dalla frazione dell’Ordine Nuovo con sincera simpatia; e ò scritto in quei giorni con vero entusiasmo a C. Levi idee, pur nella loro confusione, propria d’un primo colpo d’occhio e apprezzamento della storia che si svolge, molto simili alle tue: credo certamente che gli operai torinesi che hanno risolto nell’accanita lotta sostenuta un grave problema morale, e ci han mostrato la loro capacità ad entrare nella lotta politica più ampiamente, (…) credo che nello svolgersi della loro rivoluzione negheranno ad una ad una le premesse astratte che oggi li guidano; e giungeranno alla vittoria solo avendo assorbito quanto vi è ancora di buono e di sano (ed è poco purtroppo – o almeno così pare anche a noi, benché non sia in certi momenti) nei loro avversari; avendo cioè temprato nel fuoco della lotta concreta il loro pensiero; avendo smarrito per istrada tutti i fardelli che non sono che pesi inutili del passato, e acquistato vece nel corso del cammino nuove continue esperienze”.

E a distanza di tempo, chiusasi da tempo la stagione di “Energie Nove”, in una lettera del 23 agosto 1923 da Aosta, Sapegno confessa all’amico la sua totale sfiducia nella possibilità di arginare il trasformarsi del movimento fascista in regime: “Carissimo Gobetti, se il mio articolo sul “Corriere” ti è parso ottimo, tanto meglio. Gli altri scritti sul giornalismo, non so come metterli insieme. (…).

Vivo in una perfetta solitudine e passo pressoché tutta la giornata tra i miei libri. (…).

Due giorni ho passato con D’Entrèves a Châtillon, prima che partisse per il mare: è un caro e simpatico ragazzo: ed io lo amo molto (c’entrerà fors’anco l’affetto regionale, che in me è sempre stato vivo, e ogni volta cresce a contatto col suolo, le abitudini e la gente di questa terra). Credo che questo sia il solo paese che ha conservato nella lingua, nelle credenze, nei gesti e negli affetti, almeno una parte delle tradizioni del vecchio Piemonte savoiardo, che mi stanno a cuore. (…).

Vorrei scriverti a lungo e parlarti anche del mio modo di guardare le cose politiche: proporre i miei dubbi e le mie incertezze, la mia stanchezza e le mie posizioni sentimentali; a te che invece sei così sicuro, e fondato su ragionati convincimenti, e ricco di una persuasione logica e filosofica che invece a me manca del tutto”.

Di fatto nel giro di un biennio la situazione politica precipiterà irrimediabilmente:  “Rivoluzione Liberale”, la nuova esperienza editoriale avviata nel 1922, dovrà chiudere le pubblicazioni nel novembre 1925 e la stessa sorte toccherà nel giro di pochi mesi  anche al “Baretti”, la terza rivista, avviata nel dicembre 1924, con la quale Gobetti tentava di aggirare la censura fascista privilegiando tematiche letterarie con apertura internazionale, secondo la linea che aveva contrassegnato “Energie Nove”.

La sfida era in ogni caso destinata a travolgerlo: il movimento fascista, diventato regime, esigeva una totale subalternità al potere centrale, e Piero, inguaribile ‘cantore’ della libertà di pensiero, il 6 febbraio 1926 si trasferisce a Parigi dove avrebbe continuato la lotta politica se la morte non lo avesse colpito nella notte tra il 15 e il 16 febbraio.

Non v’è dubbio tuttavia che, nonostante velleitarismi, ingenuità e contraddizioni, in “Energie Nove” si configuri un quadro politico/culturale non scevro da tangenze con la nostra attualità politica, dove i rischi di una deriva autoritaria, sia pure per vie e modalità differenti, sono tornati innegabilmente a riaffiorare.

Non è quindi casuale che, a cento anni di distanza, la lezione del diciassettenne Piero, votato a una concezione ‘alta’ della politica, acquisti un’imprevedibile sollecitazione all’ascolto.

Le prime due pagine del primo numero di Energie Nove (clicca per ingrandire)

Rosita Tordi Castria