L’antiscienza costa

“La scienza deve spiegare quello che fa, sfidando le paure”. Intervista al filosofo e matematico Giulio Giorello, recentemente scomparso.

“Il ‘filosofo del secolo’ Karl Popper – dice Giorello – ci ha mostrato come le teorie del complotto cadano sempre in piedi: anche se si trova un argomento che le falsifica, per i complottisti sarà solo l’ennesimo intrigo contro le loro verità indiscutibili. Chiariamoci: le cospirazioni esistono eccome, sin dai tempi di Bruto e Cassio. Ma vederne ovunque, paradossalmente, ci rende disarmati di fronte a quelle reali”. Per scoprire quanto sia radicato l’antiscientismo basta guardare un paio di vecchie vignette, ricorda Giorello. Nella seconda metà del Settecento, Edward Jenner inoculò per la prima volta nell’uomo del vaiolo di vacca (da cui il nome vaccino), in grado di scatenare la reazione immunitaria senza causare danni. In una vignetta satirica del 1802, ai vaccinati spuntano mucche dal naso o corna sulla fronte, segno della paura e dell’opposizione presenti anche all’epoca. “L’idea di iniettare nelle persone qualcosa che proveniva da un bovino, sembrava un insulto alla dignità dell’essere umano”, spiega Giorelli. “Anche le vignette contro Charles Darwin si sprecano. Ne ho in mente una, credo pubblicata sulla rivista ottocentesca Punch, in cui l’evoluzionista è ritratto assieme a un maggiordomo-gorilla, vestito con abiti tipici della classe popolare irlandese. Il che mostra come l’antiscienza sia sempre andata a braccetto con gli odiosi pregiudizi razzisti”.

La virologa Ilaria Capua ha detto che per combattere l’antiscientismo “bisogna parlarne”. Pensando al caso dei no vax, però, può sorgere il dubbio che proprio il parlarne in continuazione abbia trasformato una minoranza di esaltati in una categoria capace di grande influenza. “È un rischio possibile, ribatte Giorello, ma non è stando in silenzio che lo si evita. I giornali hanno il dovere di raccontare i fatti in maniera neutrale e oggettiva. Semmai un rischio è nel tipo di aggregazione che si forma in modo apparentemente spontaneo in rete, dove ciascuno ama parlare alla sua bolla, a chi la pensa come lui. L’algoritmo poi fa il resto, premiando i contenuti più potenti a livello emotivo. Il risultato è la semplificazione dei fenomeni e la comparsa di una miriade di siti no vax, di pagine Facebook di terrapiattisti”.

“C’è poi un’altra questione. Non mi piace il termine divulgazione – spiega il professore – perché, anche etimologicamente, contiene l’idea che ci sia un ‘volgo’ che va indottrinato, mentre bisogna saper ascoltare anche le voci di chi ha paura della scienza. Ma sono convinto che gli scienziati in prima persona riescano a spiegare meglio ciò che fanno. Penso ai bei lavori di Guido Tonelli, illuminanti sul perché è così importante capire l’origine dell’universo, e dopotutto anche la nostra, attraverso gli strumenti della scienza. O alle coraggiose battaglie del genetista Edoardo Boncinelli. Spesso, tuttavia, gli scienziati non lavorano globalmente, ma settorialmente. Resta poi da mettere i risultati settoriali in relazione tra loro e qui la filosofia ha ancora un ruolo. Quello di parlare con coraggio. Di sfidare la paura, come ha fatto qualche grande filosofo dell’antica Grecia, che per questo è finito in carcere, in esilio, o è andato incontro alla morte, come Socrate”